Eccolo, ha colpito ancora! E questa volta ci svela qualcosa sulle sue origini. La parola a Giuseppe.
Un filo d’olio (Simonetta Agnello Hornby)
Mi parsi di turnari picciriddu e vidiri ma matri e ma zia. Scusate, la mia sicilianità è rimasta molto colpita sin dalle primissime pagine di questo splendido libro che racconta dell’infanzia dell’autrice a Mosé, nei pressi di Agrigento. Per un agrigentino come me, Mosé è una campagna conosciuta ma temo che per il resto del mondo sia solo il biblico estensore delle Tavole. La stessa autrice ci racconta subito che il libro doveva essere la trascrizione delle ricette di nonna Maria in collaborazione con la sorella Chiara ma che poi è divenuto un tuffo nella sua infanzia ad Agrigento e soprattutto delle sue vacanze in campagna a Mosé, appunto. E attraverso questi ricordi ci porta in un mondo, la Sicilia profonda del secondo dopoguerra, che ho trovato molto simile a quello della Sicilia profonda degli anni ’70 del secolo scorso che io ho vissuto. Forse con qualche macchina in più, ma con gli stessi viddani e gli stessi paesaggi arsi degli uliveti saraceni e dei campi bruciati, degli odori forti della cucina e dei sapori di dolci e pietanze quasi dimenticate. Infine vengono effettivamente descritte, da Chiara, le ricette della famiglia Agnello e anche questa parte ti trascina in atmosfere lontane, quasi esotiche nella loro normalità. Del resto chi mangia più la salsa di pomodoro in almeno cinque modi diversi? Ancora una volta vi consiglio di leggere, magari siete lombardi, pugliesi, trentini o molisani ma tutti ricorderete il cibo della vostra infanzia che in fondo resta più piacevole nel ricordo che nella realtà di allora. Salutammu.
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